DISTURBI D’ANSIA

I Disturbi d’Ansia sono caratterizzati ed accomunati dalla presenza di intensa e frequente ansia – principale loro sintomo psicologico – che determina significativo disagio o menomazione nel normale funzionamento personale, sociale, lavorativo, scolastico, familiare, affettivo, etc.
Sono allora connotati da una eccessiva, continua e disfunzionale iperattivazione e ipervigilanza circa gli eventi esterni e da senso di impotenza e pericolo correlati ad essi.
L’ansia è una reazione di agitazione che, entro certi limiti, contribuisce ad attivare l’individuo in situazioni di pericolo e/o nei casi in cui occorra un aumento di attenzione ed attivazione neuro-fisiologica (ad esempio prima di un esame o in caso di pericolo).
In tal senso tale reazione psico-emotiva non è da considerarsi anomala o patologica, ma funzionale a “preparare” la persona di fronte ad una situazione che richiede una specifica reattività mentale e fisiologica.
L’ansia è rilevabile grazie all’innalzamento della vigilanza e del funzionamento di sistemi fisiologici come ad esempio l’aumento del battito cardiaco, del respiro e/o del tono della muscolatura: essi mettono l’organismo all’erta circa una possibile esigenza di reazione e/o prestazione.
La reazione ansiogena costituisce dunque una sorta di difesa intrinseca all’ancestrale istinto di conservazione (attacco-fuga) capace di farci intervenire prima di un eventuale danno e nell’ottica di una specifica azione sempre cruciale.
Quando, però, l’ansia si verifica frequentemente in situazioni che non richiedono attivazione, quando aumenta eccessivamente e si traduce in una surreale ed esagerata preoccupazione circa i propri pensieri, sentimenti, comportamenti, etc., risultando poco funzionale rispetto alle circostanze in cui si manifesta, allora può configurarsi come un disturbo.
Essa non risulta adattativa anzi: la persona non riesce più a capire e gestire i propri livelli emotivi e, di conseguenza, ad affrontare situazioni quotidiane, controllando i molteplici fattori di stress che la vita presenta.
Nello specifico, i Disturbi d’Ansia possono generare forte e permanente disagio psicologico, con reazioni di fuga, evitamento, intensa paura, incapacità di fare cose semplici, così come sintomi psicofisici destabilizzanti come spasmi, nausea, pallore, sudorazione, tachicardia, sensazione di soffocamento, vertigini, mal di testa, dolori, iper attivazione, tensione e rigidità muscolare, blocco motorio.
Ulteriori complicazioni di un Disturbo d’Ansia posso essere altri problematiche psicologiche e fisiche correlate: patologie organiche, abuso e/o dipendenza da alcol o da altre sostanze psicoattive (utilizzate per cercare di trovare sollievo dai numerosi sintomi d’ansia), disturbi dell’umore, problemi sessuali, problemi psicosomatici e/o sonno problematico.
Infine tali disturbi psicologici, se non affrontati, possono, con il passare del tempo, cronicizzare, con il pericolo di intensificarne i disagi e le disfunzionalità arrecate nelle varie aree vitali della vita personale.
In molti studi, la terapia cognitivo comportamentale è risultata il miglior trattamento terapeutico per i disturbi d’ansia. E’ particolarmente efficace per superare gli attacchi di panico, con un successo dell’80- 90% dei casi.

[toggle title=”Disturbo da attacco di panico” value=”close”] E’ caratterizzato da ricorrenti Attacchi di Panico inaspettati, riguardo ai quali vi è una preoccupazione persistente. Tale disturbo può essere con o senza Agorafobia.
Un Attacco di Panico corrisponde ad un periodo preciso durante il quale vi è l’insorgenza improvvisa di intensa apprensione, paura o terrore, spesso associati ad una sensazione di catastrofe imminente.
Durante questi attacchi sono presenti sintomi come palpitazioni, dolore o fastidio al petto, sensazione di asfissia o di soffocamento, e paura di impazzire o di perdere il controllo o di morire.[/toggle] [toggle title=”Agorafobia” value=”close”] E’ l’ansia o l’evitamento verso luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile (o imbarazzante) allontanarsi o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto in caso di un Attacco di Panico (o dell’improvviso arrivo di sintomi tipo panico).[/toggle] [toggle title=”Fobia Specifica” value=”close”] E’ caratterizzata da un’ansia clinicamente significativa provocata dall’esposizione ad un oggetto o ad una situazione fortemente temuti che, spesso, determina condotte di evitamento. Normalmente la persona che ne soffre non ha reazioni d’ansia di fronte ad altri stimoli ma questo risulta comunque vincolante della libertà d’azione personale (ad esempio impedendo di prendere l’aereo o l’ascensore).[/toggle] [toggle title=”Fobia Sociale” value=”close”] E’ contraddistinta da un’ansia clinicamente significativa provocata dall’esposizione a certi tipi di situazioni o di prestazioni sociali (ad esempio parlare in pubblico, pranzare in presenza di altri…) che spesso determina condotte di evitamento.[/toggle] [toggle title=”Disturbo Ossessivo-Compulsivo” value=”close”] E’ caratterizzato da ossessioni ovvero pensieri ricorrenti che causano ansia o disagio marcati, e/o compulsioni cioè comportamenti stereotipati che servono a neutralizzare l’ansia. La persona che ne soffre dedica molto tempo della giornata nell’attuare tali comportamenti e ciò spesso va ad incidere sulla sua qualità di vita. Tra i comportamenti compulsivi più frequenti c’è quello di lavarsi spesso le mani o quello di controllare ripetutamente di aver compiuto alcune azioni come aver chiuso porte e finestre o il rubinetto del gas[/toggle] [toggle title=”Il Disturbo Post-traumatico da Stress” value=”close”] Consiste nel ‘rivivere’, attraverso pensieri persistenti e/o ricordi vivi e/o frequenti incubi notturni, un evento estremamente traumatico (che ha implicato la morte o la minaccia di morte o gravi lesioni o una grave minaccia all’integrità fisica propria o altrui).
E’ accompagnato da sintomi di aumentata attività neuro-vegetativa e da evitamento di stimoli associati al trauma.[/toggle] [toggle title=”Il Disturbo Acuto da Stress” value=”close”] E’ contraddistinto da sintomi simili a quelli del Disturbo Post-traumatico da Stress che si verificano, però, immediatamente dopo l’ evento traumatico ed hanno una durata limitata nel tempo (da pochi giorni ad un mese circa). Inoltre, in tale condizione, possono presentarsi sintomi dissociativi (amnesia dissociativa, fuga dissociativa, depersonalizzazione e derealizazione).[/toggle] [toggle title=”Il Disturbo d’Ansia Generalizzato” value=”close”] Caratterizzato da almeno sei mesi di ansia e preoccupazione persistenti ed eccessive in diverse aree o ambiti della vita.[/toggle]

DISTURBI DELL’UMORE

L’umore può essere normale, elevato o depresso.
In genere, le persone sperimentano normalmente un’oscillazione del tono dell’umore nell’arco della giornata e della vita, in funzione del loro stato e degli eventi di vita: esse riescono più o meno gestire tali oscillazioni e gli stati affettivi correlati.
Si parla di disturbo dell’umore quando la persona perde il senso di controllo di tali oscillazioni e vive quindi in grave disagio.
Le persone con umore depresso (depressione) possono manifestare una perdita di energia ed interesse, sensi di colpa, difficoltà di concentrazione, perdita di appetito e, a volte, pensieri di morte o suicidari.
Altri segni e sintomi dei disturbi dell’umore includono cambiamenti nel livello di attività, nelle capacità cognitive, nel linguaggio e nelle funzioni vegetative (come sonno, appetito, attività sessuale e altri ritmi biologici). Questi cambiamenti quasi sempre sfociano in problemi che coinvolgono i rapporti interpersonali, sociali e lavorativi.
I fattori causali possono essere artificialmente divisi in biologici, genetici e psico-sociali, ma tale suddivisione è schematica a causa dell’elevata probabilità che le tre realtà interagiscano tra loro.
Fattori psico-sociali e genetici possono condizionare i fattori biologici – come la concentrazione di uno specifico neurotrasmettitore o le interazioni fra diversi neurotrasmettitori (serotonina, acetilcolina e noradrenalina); i fattori biologici e psico-sociali possono anche condizionare l’espressione genica; infine i fattori biologici e genetici possono condizionare la risposta di una persona ai fattori psico-sociali.

[toggle title=”Disturbo Depressivo Maggiore” value=”close”] I pazienti afflitti da episodi esclusivamente depressivi vengono considerati affetti da Depressione Maggiore.
Un episodio depressivo maggiore deve durare almeno due settimane.
Per tale diagnosi è necessario vi siano almeno quattro sintomi di uno spettro che comprende modificazioni dell’appetito e del peso, del sonno e dell’attività fisica, mancanza di energia, sentimenti di colpa, problemi nel formulare i pensieri e nel prendere decisioni e ricorrenti idee di morte o suicidio.[/toggle] [toggle title=”Distimia” value=”close”] Secondo il DSM-IV la Distimia è caratterizzato da almeno due anni di abbassamento del tono dell’umore. L’umore depresso si verifica per la maggior parte del tempo. Vi sono, inoltre, ulteriori sintomi depressivi che non configurano la diagnosi di Disturbo Depressivo Maggiore.[/toggle] [toggle title=”Disturbo bipolare” value=”close”] Il disturbo bipolare è caratterizzato da intensi sbalzi dell’umore, dell’energia e del comportamento. Gli episodi maniacali (fasi di eccitamento) e depressivi – che si alternano in tale disturbo – possono durare giorni o mesi.
Un episodio maniacale è un periodo ben definito (almeno una settimana, meno se il paziente deve essere ricoverato) di “alterazione dell’umore che è persistentemente elevato, espansivo o irritabile”.
Un episodio misto è un periodo di almeno una settimana in cui si verificano quasi quotidianamente sia un episodio maniacale sia un episodio depressivo maggiore.
Il Disturbo Bipolare è generalmente contraddistinto da episodi ricorrenti che spesso si manifestano, per la prima volta, durante l’adolescenza o nella prima età adulta (a volte anche durante la fanciullezza) e normalmente si protraggono negli anni.[/toggle] [toggle title=”Ciclotimia” value=”close”] Il disturbo ciclotimico è caratterizzato da almeno due anni di sintomi ipomaniacali che si manifestano frequentemente ma che non configurano la diagnosi di episodi maniacali e da sintomi depressivi che non configurano la diagnosi di episodio depressivo maggiore.
I sintomi dell’episodio ipomaniacale, che ha una durata di almeno quattro settimane, sono simili a quelli dell’episodio maniacale, ma includono anche almeno tre sintomi tra esagerata autostima, ridotto bisogno di sonno, distraibilità, grande attività fisica e mentale, ed eccessivo coinvolgimento in un comportamento piacevole con conseguenze spiacevoli. Se una persona è irritabile invece che con umore elevato, devono essere presenti quattro di questi sintomi.[/toggle]

DIPENDENZE

Per dipendenza si intende “una alterazione del comportamento che da semplice e comune abitudine diventa una ricerca esagerata e patologica del piacere attraverso mezzi o sostanze o comportamenti che sfociano nella condizione patologica. La persona dipendente perde ogni possibilità di controllo sull’abitudine”.
Dal punto di vista degli effetti è utile suddividere la dipendenza in dipendenza fisica (alterato stato biologico) e dipendenza psichica (alterato stato psichico e comportamentale).
La dipendenza fisica, prodotta essenzialmente dai condizionamenti neurobiologici, è superabile con relativa facilità; la dipendenza psichica, difficile punto nodale della tossicodipendenza, richiede interventi terapeutici lenti, complessi e ad ampio raggio, coinvolgendo spesso i familiari che stanno attorno alla persona dipendente.
Le forme più gravi comportano dipendenza fisica e psichica con compulsività, cioè, ad esempio, con bisogno di assunzione ripetuta della droga da cui si dipende per risperimentarne l’effetto psichico ed evitare la sindrome di astinenza.
Si può dipendere patologicamente da:
sostanze stupefacenti, alcool o fumo (tossicodipendenza, alcolismo…); cibo (bulimia, dipendenza da zuccheri, binge eater disorder); sesso (dipendenza sessuale, masturbazione compulsiva); lavoro (work-a-holic); comportamenti come il gioco (gioco d’azzardo patologico); shopping (shopping compulsivo); televisione; internet (internet dipendenza); videogame
Rientrano nelle dipendenze patogene anche quelle da luoghi e culture (sindrome da sradicamento) ed anche da rapporti umani (co-dipendenza). La dipendenza da sigaretta rientra invece tra le dipendenze “oggettuali”, dove il rapporto con l’oggetto risponde ad un bisogno relazionale di tipo proiettivo.

[toggle title=”Gioco d’azzardo patologico” value=”close”] Il Gioco d’azzardo patologico è una delle prime forme di “dipendenza senza droga” studiate che ha ben presto attratto l’interesse della psicologia e della psichiatria (ma anche dei mezzi di comunicazione di massa, degli scrittori e dei registi), al punto che si continua spesso a riparlarne in relazione alle sue conseguenze piuttosto serie sulla salute ed in particolare sull’equilibrio mentale che questo tipo di problema è in grado di produrre.
Nella ludodipendenza il vero senso del gioco, attraverso il quale si può costruire e scoprire il Sè – quello che vuol dire libertà, creatività, apprendimento di regole e ruoli, sospendendo le conseguenze reali – viene completamente ribaltato per trasformare la cosiddetta “oasi della gioia” in una “gabbia del Sé”, fatta di schiavitù, ossessione, ripetitività.
Per cominciare ad individuare gli indicatori della patologia da gioco, è estremamente importante chiarire innanzitutto la necessità di operare una distinzione tra giocatori d’azzardo e giocatori patologici . Per molte persone, infatti, numerosi giochi d’azzardo tra quelli elencati sono piacevoli passatempi, in taluni casi occasionali e in altri abitualii.
Tuttavia, anche in quest’ultimo caso, non significa che il gioco sia necessariamente patologico, dal momento che non è la quantità il fattore discriminante del problema.
Il giocatore compulsivo, infatti, si pone lungo un continuum che conta diverse tappe dai confini spesso sfumati che vanno dal gioco occasionale al gioco abituale, al gioco a rischio fino al gioco compulsivo.
Il Gioco d’azzardo patologico si configura come un problema caratterizzato da una graduale perdita della capacità di autolimitare il proprio comportamento di gioco, che finisce per assorbire, direttamente o indirettamente, sempre più tempo quotidiano, creando problemi secondari gravi che coinvolgono diverse aree della vita.
Lungo il continuum tra gioco d’azzardo ricreativo e gioco patologico, in relazione alle motivazioni che sembrano determinare e accompagnare il gioco d’azzardo, sono state distinte le seguenti tipologie di giocatori (Alonso Fernandez F., 1996, Dickerson M., 1993):
1. il giocatore sociale che è mosso dalla partecipazione ricreativa, considera il gioco come un’occasione per socializzare e divertirsi e sa governare i propri impulsi distruttivi;
2. il giocatore problematico in cui, pur non essendo presente ancora una vera e propria patologia attiva, esistono dei problemi sociali da cui sfugge o a cui cerca soluzione attraverso il gioco;
3. il giocatore patologico in cui la dimensione del gioco è ribaltata in un comportamento distruttivo che è alimentato da altre serie problematiche psichiche;
4. il giocatore patologico impulsivo/dipendente in cui i gravi sintomi che sottolineano il rapporto patologico con il gioco d’azzardo sono talvolta più centrati sull’impulsività e altre volte sulla dipendenza.
Un giocatore veramente dipendente è una persona in cui l’impulso per il gioco diviene un bisogno irrefrenabile e incontrollabile, al quale si accompagna una forte tensione emotiva ed una incapacità, parziale o totale, di ricorrere ad un pensiero riflessivo e logico. L’autoinganno ed il ricorso a ragionamenti apparentemente razionali assumono la funzione di strumenti di controllo del senso di colpa e innestano ed alimentano un circolo autodistruttivo: se il giocatore dipendente perde, giustifica il suo gioco insistente col tentativo di rifarsi e di “riuscire almeno a riprendere i soldi persi”; se vince si giustifica affermando che “è il suo giorno fortunato e deve approfittarne”, sottolineando una temporanea vittoria che supporta, attraverso una realtà vera ma alquanto instabile e temporanea, questa affermazione interiore o esteriore.[/toggle] [toggle title=”Dipendenza sessuale” value=”close”] Alcuni soggetti, invece di vivere la sessualità come un’esperienza di gioco, relazione, comunicazione, scambio di piacere, momento privilegiato dell’intimità, la vivono in modo ossessivo, divenendone “dipendenti”. Questo disturbo viene comunemente definito “dipendenza sessuale” e rientra in quelle che sono state definite “dipendenze senza droga”, cioè alcuni comportamenti patologici che coinvolgono oggetti o attività apparentemente innocue, come il cibo, il gioco d’azzardo, il lavoro ed appunto il sesso.[/toggle] [toggle title=”Dipendenza affettiva” value=”close”] Quando un rapporto affettivo diventa un “legame che stringe” o, ancor peggio, “dolorosa ossessione” in cui si altera stabilmente quel necessario equilibrio tra il “dare” e il “ricevere”, l’amore può trasformarsi in un’abitudine a soffrire fino a divenire una vera e propria “dipendenza affettiva”, un disagio psicologico che è in grado di vivere nascosto nell’ombra anche per l’intera vita di una persona, ponendosi tuttavia come la radice di un costante dolore e alimentando spesso altre gravi problematiche psicologiche, fisiche e relazionali.[/toggle] [toggle title=”Dipendenza dal gruppo” value=”close”] A partire dalla spontanea socialità umana, si può diventare “dipendenti dal gruppo”, o da una setta come esito di una graduale e ingannevolmente silenziosa “ingestione” di un individuo, bisognoso e inconsapevole, da parte del gruppo che finisce per assoldarlo e asservirlo per i propri fini.[/toggle] [toggle title=”Dipendenza religiosa” value=”close”] Tante persone sono dipendenti dalla religione o hanno sofferto abuso religioso da parte delle loro famiglie o chiese, scrive il Rev. Leo Booth in ‘Quando dio diviene una droga’.
La dipendenza può svilupparsi in qualsiasi chiesa, dice, ma in maniera più marcata in quelle che promuovono credi fondamentalisti.[/toggle] [toggle title=”Dipendenza dal lavoro” value=”close”] Il cambiamento storico del pensiero sul lavoro oggi ha trasformato il lavoro, soprattutto nel mondo occidentale, in uno strumento essenziale sia per integrarsi ed essere apprezzati a livello sociale che per raggiungere l’indipendenza economica. Ciò ha portato a parlare, sempre più spesso recentemente, della “dipendenza dal lavoro”, che un tempo rappresentava una prerogativa maschile ma che oggi, forse in ragione dell’importanza che il lavoro ha sempre rivestito nella lotta sociale per il riconoscimento dei diritti delle donne, comincia ad estendersi anche a questo sesso.[/toggle] [toggle title=”Dipendenza dallo sport” value=”close”] Sempre più conosciuto e promosso come metodo naturale di supporto alla salute, sia in termini di prevenzione che di intervento per ridurre numerose problematiche fisiche, psicologiche e sociali, lo sport può anche diventare un’ossessione dannosa per la salute stessa. Lo dimostrano i numerosi casi di quella che viene definita comunemente, ma talvolta anche impropriamente, come “dipendenza dallo sport”.[/toggle]

DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE

Comprendono tutte quelle problematiche, di pertinenza principalmente psichiatrica, che concernono il rapporto tra gli individui e il cibo.
La terapia dei DCA deve essere concepita in termini interdisciplinari ed integrati; deve avvenire in ambiti di cura in cui collaborino sistematicamente figure professionali diverse (internisti, nutrizionisti, psichiatri, psicologi clinici, dietisti) privilegiando, senza mai escludere l’altro, il versante somatico o psichico a seconda delle fasi della malattia; deve consentire una continuità delle cure nel passaggio da un livello assistenziale ad un altro. In relazione agli elementi clinici emersi durante la valutazione interdisciplinare,l’accesso principale al percorso terapeutico può essere quello ambulatoriale per gli eventuali i successivi livelli terapeutici, di day hospital, di ricovero ordinario e residenziale.

[toggle title=”Anoressia nervosa” value=”close”] L’anoressia è un grave stato morboso sintomatico causato da una malattia o da un’alterazione psichica (anoressia mentale, nota anche come anoressia nervosa). Quest’ultimo caso è generalmente quello al quale si fa riferimento parlando genericamente di anoressia. Il termine anoressia deriva dal tardo latino anorexia e, a sua volta, dal greco anorexìa, parola composta da ‘an’ (particella di negazione) e ‘òrexis’, ‘appetito’.
Si manifesta inizialmente con un’attenuazione dello stimolo ad alimentarsi; poi seguono l’anoressia vera e propria (mancanza di appetito), il rapido dimagramento e, nelle donne, l’assenza delle mestruazioni.
L’anoressia presenta un aspetto nutrizionale e uno comportamentale. L’aspetto nutrizionale è legato al deficit alimentare che può avere effetti molto gravi sull’integrità fisica, mentre quello comportamentale è legato a fattori psicologici scatenanti, come conflitti familiari, una scarsa autostima e il desiderio di emulare modelli estetici spinti agli estremi.
Secondo quanto riportato dal DSM IV (la quarta revisione del Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) l’anoressia viene suddivisa in due sottotipi: anoressia con restrizioni; anoressia con abbuffate/condotte di eliminazione.
Nell’anoressia nervosa con restrizioni la perdita di peso è ottenuta con dieta, digiuno o eccesso di attività fisica.
Nell’anoressia nervosa con abbuffate/condotte di eliminazione il calo ponderale viene ottenuto con abbuffate alimentari seguite da vomito auto-indotto e da uso inadeguato di farmaci lassativi e diuretici.
Le persone affette da anoressia nervosa si vedono, paradossalmente, grassi e goffi e mettono in atto strategie molto sofisticate nel tentativo continuo di combattere la fame (l’uso di sostanze a effetto dimagrante, l’autoinduzione del vomito, l’uso improprio di farmaci a effetto lassativo, l’assunzione di farmaci diuretici, un’attività fisica eccessiva ecc.) nascondendo spesso il proprio stato e mentendo sulla quantità di cibo assunto. Il soggetto affetto da anoressia ha paura di ingrassare e, per quanto ciò possa sembrare paradossale, tale paura non tende a ridursi quando il dimagrimento si manifesta, ma anzi, tende ad aumentare.
L’umore del soggetto anoressico è direttamente proporzionale al peso e al suo controllo: la diminuzione di peso diviene motivo di soddisfazione, ma un aumento ponderale anche lieve può far sì che la persona diventi triste e ipercritica verso sé stessa.
La sua autostima, i successi conseguiti in ogni campo e il valore come persona dipendono quindi esclusivamente dal suo corpo e dal controllo che riesce a imporre sullo stimolo della fame.
La cura dell’anoressia coinvolge necessariamente l’ambiente familiare del paziente, specie se adolescente, richiedendo un’ampia disposizione a collaborare e a mettere in discussione comportamenti e situazioni familiari, cause possibili dell’insorgere del disturbo. Esistono oggi centri specializzati per la cura dell’anoressia, ma il primo passo della terapia consiste nella presa di coscienza del problema da parte del paziente e di chi gli vive vicino. Nonostante la complessità della malattia, se affrontata da medici esperti e con la collaborazione del malato e dei suoi cari, la guarigione può essere totale fino al ritorno a una qualità di vita normale.[/toggle] [toggle title=”Bulimia” value=”close”] La bulimia nervosa presenta le seguenti caratteristiche: abbuffate ricorrenti caratterizzate dal consumo di grandi quantità di cibo e dalla sensazione di perdere il controllo sull’atto di mangiare e comportamenti di compenso.
Il vomito auto-indotto è il meccanismo di compenso più frequentemente utilizzato: molte persone utilizzano lassativi e diuretici impropriamente, altre fanno esercizio fisico in modo eccessivo.
Le abbuffate e le condotte compensatorie devono verificarsi almeno 2 volte a settimana per tre mesi. E’ inoltre necessario sia presente una preoccupazione estrema per il peso e le forme corporee per poter diagnosticare tale disturbo (che non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di anoressia nervosa).
La caratteristica principale della bulimia nervosa è un circolo autoperpetuante di preoccupazione per il peso e le forme corporee -> dieta ferrea -> abbuffate -> vomito auto-indotto.
La diretta conseguenza dell’intensa preoccupazione per le forme e il peso in soggetti che basano l’auto-valutazione personale sulla magrezza è cercare di dimagrire seguendo una dieta caratterizzata da regole molto rigide.
La dieta ferrea è la principale responsabile della comparsa delle abbuffate. Seguire una dieta rigida in modo perfezionistico porta prima o poi inevitabilmente a compiere piccole trasgressioni che vengono vissute da chi soffre di problemi dell’alimentazione come una irrimediabile perdita di controllo. Le abbuffate in una prima fase possono dare piacere perché allentano la tensione del dover seguire in modo ferreo la dieta, col passare del tempo determinano però emozioni negative (paura di ingrassare, senso di colpa, vergogna, disgusto) che a loro volta possono innescare nuove abbuffate.[/toggle]

DISTURBI DI PERSONALITA’

E’ possibile definire un disturbo di personalità come un modello abituale di esperienza o comportamento che si discosta notevolmente dalla cultura a cui l’individuo appartiene e si manifesta in almeno due delle seguenti aree: esperienza cognitiva, affettiva, funzionamento interpersonale e controllo degli impulsi (area comportamentale).
Il pattern deve presentarsi in un’ampia gamma di situazioni sociali e determinare una condizione di disagio, personale, sociale e lavorativo, clinicamente significativa, anche se questo non è sempre riconosciuto dalla persona, che manca di insight, ovvero non si rende conto del proprio impatto sugli altri e non tende a cercare aiuto. In genere, infatti, i sintomi dei disturbi di personalità sono egosintonici (accettabili per la persona) e alloplastici (la persona tende a cambiare l’ambiente, non se stesso).

La disadattività può insorgere nella prima metà della vita adulta (ma può essere visibile già nell’infanzia), generalmente è stabile nel tempo e presenta un carattere inflessibile e pervasivo nelle diverse aree della vita, ed, inoltre, comporta conseguenze in termini di sofferenza soggettiva e limitazioni nelle relazioni e nell’area lavorativa. Il concetto di “disturbo” sembra ormai superato: esso, come la personalità detta “normale”, si origina dai primi anni di vita fino all’età adulta, è quindi ad una tipologia o a un modello di personalità a cui bisogna riferirsi. Ad es. “tipo di personalità istrionica” o “modello di personalità istrionica”: non si tratta di una personalità ben adattata che, ad un certo punto, diventa “disturbata”, ma una personalità che a seguito di diversi fattori (ambientali, biologici, traumatici, ecc.) può assumere schemi e modelli poco funzionali e fonte di difficoltà nella relazione con gli altri.

[toggle title=”Disturbo paranoide di personalità” value=”close”] Chi è affetto da tale disturbo vive in un clima di sfiducia e continui sospetti nei confronti delle intenzioni altrui (le azioni o motivazioni degli altri vengono interpretate sempre come minacciose). Il sospetto e la diffidenza immotivata (per es. si dubita senza ragione della fedeltà del partner, della lealtà di un amico, della sincerità delle persone che si incontrano..) determinano la sensazione di essere costantemente in pericolo e vissuti di rancore con conseguenti comportamenti di chiusura sociale.
La persona appare rigida, guardinga, riservata fino all’estremo: descrive le sue relazioni in termini distaccati ed è incapace di lasciarsi andare affettuosamente nei rapporti, poiché ha bisogno di tenere gli altri sotto controllo.
Il rapporto con la realtà appare alterato: non è la realtà in se stessa ad essere distorta (come accade in patologie, come la schizofrenia, in cui è la percezione ad essere compromessa) ma l’interpretazione che la persona ne fa.
Sebbene il trattamento terapeutico sia arduo (la persona, in quanto poco consapevole dell’origine psicologica dei propri problemi, è poco motivata alla psicoterapia), è auspicabile un percorso supportivo al fine di favorire un processo di strutturazione ed integrazione dell’Io e correggere l’erroneo rapporto con la realtà.
Spesso anche i familiari potrebbero avere necessità di supporto psicologico o comunque di un aiuto nella comprensione e gestione del disagio della persona che hanno accanto.[/toggle] [toggle title=”Disturbo schizoide di personalità” value=”close”] I soggetti che vivono questo disturbo mostrano un’espressione delle emozioni molto limitata, appiattita, ed un marcato distacco dalle relazioni sociali.
La persona tende a non mostrare nessun interesse per altri, agisce in solitudine, è scarsamente motivato verso una vita sessualmente completa e non prova piacere per alcuna attività che svolge. Egli appare indifferente a tutto, anche alle eventuali critiche altrui[/toggle] [toggle title=”Disturbo di personalità schizotipico” value=”close”] Il disagio relazionale è accompagnato da un comportamento marcatamente eccentrico e da distorsioni del pensiero e della percezione.
Le relazioni strette vengono vissute con estrema difficoltà e i contatti sociali determinano risposte di chiusura e grave disagio.
Si osservano, inoltre, opinioni e credenze bizzarri e condizionati da un pensiero magico.
Spesso chi ha questo disturbo è convinto di avere doti eccezionali ed insolite nel percepire aspetti della realtà non accessibili agli altri. Il suo linguaggio è per lo più oscuro o metaforico, allusivo e confuso.
Anche in questo caso, è utile impostare una terapia psicologica di tipo supportivo.[/toggle] [toggle title=”Disturbo antisociale di personalità” value=”close”] Lo stile di vita del soggetto è caratterizzato da intolleranza alle regole e continua violazione della legge e dei diritti altrui. La diagnosi viene fatta a partire dai 18 anni ma già prima di tale età si rileva un disturbo della condotta che ha determinato comportamenti basati sulla menzogna, aggressività manifestata in scontri fisici, comportamenti illegali e impulsività.
La persona affetta da tale disturbo è incapace di assumersi responsabilità e portare avanti un’attività lavorativa onesta in modo continuativo.
Egli maltratta, deruba e danneggia senza provare alcun rimorso.
Raramente sono presenti i presupposti per un intervento di aiuto.
Spesso l’intervento terapeutico avviene all’interno delle istituzioni carcerarie ed ha l’obiettivo di stabilire il livello di responsabilità verso il reato compiuto.[/toggle] [toggle title=”Disturbo borderline di personalità” value=”close”] In passato sono state formulate diverse definizioni del quadro bordeline: in tale categoria venivano collocati tutti quei disturbi al confine tra l’area nevrotica e quella psicotica ai quali spesso non si riusciva ad attribuire un’identità precisa (col rischio di riferirsi a manifestazioni cliniche con caratteristiche significativamente diverse).
Attualmente la patologia borderline è invece considerata un disturbo della personalità con caratteristiche proprie, nel quale dominano elementi di impulsività ed instabilità. Tale instabilità si manifesta in ambito relazionale, nella percezione di sé ed in ambito umorale.
Poiché condizionate dall’intenso timore di un abbandono reale o immaginario, le relazioni interpersonali della persona con disturbo di personalità borderline sono molto instabili e connotate da marcata ambivalenza. Anche la visione di sé oscilla tra opposte e parziali identità (dall’idealizzazione al disprezzo).
L’instabilità umorale porta all’alternanza di momenti di intensa disforia e rabbiosità a momenti di tristezza, sentimenti di vuoto o ansia generalizzata, se non addirittura potente angoscia (dalla quale la persona tenta di difendersi attraverso il distacco affettivo). Possono esserci sintomi dissociativi (perdita di contatto con la realtà) temporanei ma di un certo rilievo.
L’impulsività si manifesta in almeno due di questi ambiti: abuso di sostanze, tendenza alle abbuffate, guida spericolata, sessualità, aggressività diretta verso se stessi e/o gli altri e prodigalità (che sfocia nello sperpero).
La psicoterapia supportivo – espressiva si propone di promuovere una maggior integrazione dell’Io e favorire lo sviluppo di un più stabile rapporto con la realtà e la gestione degli impulsi (in particolare quelli aggressivi).[/toggle] [toggle title=”Disturbo istrionico di personalità” value=”close”] Il disturbo istrionico di personalità si distingue per la ossessiva ricerca di attenzioni e per l’esagerata emotività: quando la persona non riesce ad attirare su di sé l’attenzione altrui, prova intenso disagio; l’ambiente esterno è in grado di influenzarne lo stato emotivo che tende a tradursi in forme di espressione drammatiche e teatrali.
La fisicità ed il comportamento sessuale sono tesi a focalizzare l’interesse degli altri e sono spesso inappropriati.
Nonostante l’inadeguatezza relazionale, la persona con disturbo istrionico di personalità, conserva un buon rapporto con la realtà ed è in grado di usufruire di una psicoterapia di tipo espressivo ad approccio psicodinamico.[/toggle] [toggle title=”Disturbo narcisistico di personalità” value=”close”] Il quadro è caratterizzato da una scarsa sensibilità verso gli altri e da un’ostentazione di grandiosità e bisogno continuo di adulazione. La persona mostra di sentirsi superiore agli altri: fantastica di avere doti eccezionali, un enorme successo in ogni ambito e trovare l’amore ideale. La sua necessità di eccessiva ammirazione porta ad una marcata svalutazione degli altri che vengono sfruttati per ottenere i propri scopi.
Per i motivi sopraindicati, la persona con disturbo narcisistico di personalità fatica a stabilire relazioni profonde e mostrare empatia ed affettività.
La persona ha un buon livello di funzionamento globale (spesso è molto dotata intellettualmente ed ha raggiunto una buona posizione lavorativa) e possiede un adeguato esame di realtà: è consigliabile una terapia supportivo – espressiva o trattamenti di coppia/familiari, poiché sono le persone che lo circondano a soffrire di più e renders conto del problema.[/toggle] [toggle title=”Disturbo ossessivo-compulsivo di personalità” value=”close”] Eccessive manifestazioni di controllo, ordine e perfezionismo connotano tale quadro clinico. Nell’organizzazione di una qualsiasi attività, la persona si perde in dettagli minuziosi, schemi e regole rigide, perdendo di vista il fine prefisso. Nessun progetto può esere portato a compimento perché il perfezionismo impedisce la prosecuzione del lavoro e intrappola la persona in ferrei standard o comportamenti ritrualistici.
Si riscontrano quindi aspetti simili a quelli presenti nel disturbo ossessivo-compulsivo, ma in tale disturbo di personalità essi sono più radicati nell’organizzazione del carattere e più pervasivi. Inoltre vi è qui una scarsa consapevolezza dell’irrazionalità delle proprie condizioni e comportamenti.
Le relazioni sono scarse poiché la persona è completamente assorbita dalle sue attività e dall’accumulo di denaro, utile a premunirsi da eventuali catastrofi.
Utile una terapia supportiva e poi, dove possibile, di stampo espressivo.[/toggle] [toggle title=”Disturbo evitante di personalità” value=”close”] In tal caso si hanno: eccessiva sensibilità alle critiche, atteggiamenti inibitori che esprimono inadeguatezza e gravi difficoltà a interagire con gli altri (per paura di essere deriso o umiliato). Anche nel lavoro tutte le attività che implicano contatti con latri sono rifiutate perché eccessivamente temute.
Diversamente dalle persone con disturbo schizoide di personalità, il soggetto desidera relazioni interpersonali ma il timore del rifiuto o del fallimento inibisce e determina ritiro sociale.
Auspicabile un percorso psicoterapeutico di tipo supportivo ed espressivo che consenta di stabilire relazioni più funzionali con l’ambiente esterno ed una comprensione delle cause che determinano i vissuti di vergogna e atteggiamenti di inibizione.[/toggle] [toggle title=”Disturbo dipendente di personalità” value=”close”] Questo disturbo è caratterizzalo dall’eccessivo bisogno di essere accudito che si esprime con un comportamento sottomesso ed adesivo. Nel prendere le decisioni che riguardano i diversi aspetti della propria vita, la persona deve essere continuamente consigliata e rassicurata. Mostra sfiducia nelle proprie capacità di giudizio, si sente indifeso e incapace di auto-gestirsi (pur essendo motivata e non priva di energia).
Spesso associato a disturbi dello spettro depressivo o ansioso.
Consigliabile una terapia supportivo – espressiva ad approccio psicodinamico che favorisca lo sviluppo e l’espressione e dei propri bisogni, idee e capacità decisionali.[/toggle]

DISTURBI SESSUALI

Colombo (2001) definisce le disfunzioni sessuali come disturbi nella realizzazione di una attività sessuale normale, che possono derivare da:

– difficoltà di investimento nella sessualità, come nel caso della riduzione o assenza di desiderio e spinta sessuale;

– difficoltà a compiere l’atto sessuale, come nel caso del vaginismo, della dispareunia o dell’impotenza;

– disturbi dell’orgasmo, come nel caso dell’eiaculazione precoce, ritardata o assente e della polluzione notturna invalidante
(Colombo, 2001).

Secondo il DSM-IV-TR (APA, 2001), la caratteristica principale delle disfunzioni sessuali è costituita da un’anomalia del desiderio sessuale e delle modificazioni psico-fisiologiche che caratterizzano il ciclo di risposta sessuale; la presenza di queste disfunzioni causa un significativo disagio individuale e difficoltà interpersonali.

[toggle title=”Disturbi del desiderio sessuale” value=”close”] Così come anche gli altri tipi di disfunzione sessuale, il disturbo provoca notevole disagio o difficoltà interpersonale (APA, 2001).
Secondo il DSM-IV-TR (APA, 2001), l’età di esordio negli individui che soffrono di questo disturbo in forma permanente è la pubertà.
Lo sviluppo del disturbo avviene tuttavia più frequentemente durante l’età adulta, dopo un periodo di adeguato interesse sessuale ed è solitamente associato a disagio psicologico, eventi di vita stressanti o difficoltà interpersonali (APA, 2001).
Il DSM-IV-TR descrive il soggetto che soffre di questo disturbo come poco motivato a ricercare stimoli sessuali; egli generalmente non inizia un’attività sessuale, ma può parteciparvi, sebbene con riluttanza, quando l’iniziativa provenga dal partner. Tuttavia, il senso di frustrazione tende a diminuire quando non si verificano le occasioni di prestazione sessuale (APA, 2001).
Lo scarso desiderio sessuale può essere globale e esteso a tutte le forme di espressione sessuale oppure può essere situazionale e limitato ad uno specifico partner o ad una determinata attività sessuale (APA, 2001).
Talvolta può essere necessario, ai fini diagnostici, una valutazione di entrambi i partner, poiché, in alcune situazioni, un apparente scarso desiderio di uno dei due, può invece riflettere un eccessivo bisogno di espressione sessuale da parte dell’altro (APA, 2001).
Se la riduzione del desiderio sessuale si manifesta in modo occasionale, non persistente o ricorrente e non è accompagnato da significativo disagio o difficoltà interpersonali, non viene considerato un disturbo da desiderio sessuale ipoattivo (APA, 2001).[/toggle] [toggle title=”Disturbo da avversione sessuale” value=”close”] Il soggetto con disturbo da avversione sessuale manifesta tipicamente avversione, e conseguente attivo evitamento, del contatto sessuale genitale con il partner sessuale, al punto da riferire ansia, timore o disgusto nel momento in cui si verifica un’opportunità sessuale (APA, 2001).
Nella definizione di Colombo (2001), la caratteristica principale di questo disturbo consiste in un persistente, ricorrente o episodico rifiuto, più o meno totale, dei rapporti e dei contatti sessuali. Secondo l’autore, potrebbe essere considerato come una fobia della sessualità (Colombo, 2001).
L’avversione può essere focalizzata su un particolare aspetto dell’esperienza sessuale (ad esempio, penetrazione vaginale o secrezioni genitali) o anche estendersi a tutti gli stimoli sessuali, inclusi i baci e le carezze (APA, 2001).
Le reazioni del soggetto esposto allo stimolo sessuale possono variare di intensità e porsi su un continuum caratterizzato da un’ansia moderata con mancanza di piacere da un lato ed un’estrema sofferenza psicologica dall’altro (APA, 2001).[/toggle]

Disturbi dell’eccitazione maschile e femminile
Comprendono la frigidità ed il disturbo maschile dell’erezione (Impotenza).

[toggle title=”Frigidità” value=”close”] Nella sua classificazione, Colombo (2001) usa il termine “Frigidità” per definire l’impossibilità della donna a raggiungere l’orgasmo attraverso il rapporto sessuale con un uomo adulto normale.
Questo disturbo, così come definito da Colombo, può manifestarsi in diverse forme:
– completa e totale, quando manca l’impulso sessuale
– incompleta, quando è presente l’impulso sessuale e l’eccitazione, ma non l’orgasmo
– parziale, quando l’orgasmo può essere raggiunto solo al di fuori del coito
– relativa, quando si verifica solo in determinate circostanze (luogo, partner, ecc.)
(Colombo, 2001).
Può essere presente fin dalle prime esperienze di attività sessuale (frigidità primitiva), verificarsi successivamente ad un periodo di normale funzionamento sessuale (frigidità secondaria), oppure manifestarsi occasionalmente, specialmente nelle donne che non hanno ancora raggiunto un’adeguata e completa sensibilità sessuale (frigidità transitoria) (Colombo, 2001).[/toggle] [toggle title=”Disturbo maschile dell’erezione (Impotenza).” value=”close”] Nella definizione del DSM-IV-TR, questo disturbo è caratterizzato da una persistente o ricorrente incapacità di raggiungere, o di mantenere fino al completamento dell’attività sessuale, un’adeguata erezione (APA, 2001).
Ai soggetti che non hanno mai sperimentato un’erezione sufficiente a concludere l’attività sessuale con un partner, il DSM-IV-TR attribuisce generalmente un decorso cronico permanente, mentre per i soggetti che hanno acquisito il disturbo è indicata una percentuale di remissioni spontanee nel 15-30% dei casi (APA, 2001).
I casi in cui il disturbo si verifica in modo situazionale sono episodici e spesso intercorrenti e l’insorgenza può dipendere da fattori esterni, quali il tipo di partner o l’intensità e qualità della relazione (APA, 2001).[/toggle]

Disturbi dell’orgasmo femminile e maschile
Comprendono il disturbo dell’orgasmo femminile e il disturbo dell’orgasmo maschile-

[toggle title=”Disturbo dell’orgasmo femminile” value=”close”] Il DSM-IV-TR specifica che, tendenzialmente, i disturbi dell’orgasmo femminili sono in misura maggiore permanenti piuttosto che acquisiti, poiché è raro che una donna che ha imparato a raggiungere l’orgasmo perda successivamente tale capacità, a meno che non siano rilevabili situazioni di scarsa comunicazione sessuale, conflitti relazionali, esperienze traumatiche, un disturbo dell’umore o una condizione medica generale (APA, 2001).
In molti casi, la capacità di orgasmo aumenta spontaneamente quando la donna si trova nella condizione di sperimentare una maggiore varietà di stimolazioni e di raggiungere una migliore conoscenza del proprio corpo (APA, 2001).[/toggle] [toggle title=”Disturbo dell’orgasmo maschile” value=”close”] Come nel caso del disturbo dell’orgasmo femminile, il disturbo dell’orgasmo maschile si caratterizza per un persistente o ricorrente ritardo, o assenza, dell’orgasmo dopo una fase di normale eccitazione sessuale (APA, 2001).
Nella fase diagnostica, il clinico deve valutare sia l’età del soggetto che l’adeguatezza della stimolazione considerandone la localizzazione, l’intensità e la durata (APA, 2001).
La forma che si riscontra più frequentemente nella pratica clinica è quella in cui il soggetto non raggiunge l’orgasmo durante il rapporto sessuale, ma può arrivare all’eiaculazione attraverso una stimolazione manuale o orale da parte del partner. Altri soggetti invece riescono a raggiungere l’orgasmo anche durante il rapporto sessuale, ma solo successivamente ad una prolungata e intensa stimolazione non coitale (APA, 2001). In altri casi l’orgasmo può essere ottenuto solo attraverso la masturbazione e, in casi più rari, il soggetto riesce a sperimentare l’orgasmo esclusivamente al risveglio da un sogno erotico (APA, 2001).
Simonelli e Rossi (1997) descrivono cinque possibili forme di alterazione dell’orgasmo maschile, specificando per ognuna i fattori eziologici e le modalità terapeutiche:
– Aneiaculazione senza orgasmo: comporta un’inibizione dei processi che conducono all’eiaculazione (emissione ed espulsione dello sperma) e all’esperienza dell’orgasmo. In genere compare come manifestazione isolata, che non influisce sul mantenimento di una adeguata erezione.
Le forme primarie complete o situazionali riconoscono in genere un’eziologia psicogena, mentre le forme secondarie sono più spesso attribuibili a cause organiche, come uso di sostanze psicotrope, interventi chirurgici sul simpatico lombare e alcune specifiche patologie (Simonelli, Rossi, 1997).
– Eiaculazione ritardata: chi soffre di questa forma di alterazione non è in grado di raggiungere un’eiaculazione nel coito, ma può ottenerla mediante masturbazione o stimolazione orale. A differenza dell’aneiaculazione senza orgasmo, il soggetto con eiaculazione ritardata sperimenta la costante sensazione di un’imminente realizzazione del riflesso eiaculatorio.
Generalmente, l’eziologia di questo tipo di disturbo è legata a fattori di natura psicogena, ma non è da escludere anche l’origine organica, specialmente nei casi in cui sono rilevabili malattie, ferite, interventi chirurgici e utilizzo di farmaci che possono influenzare il processo eiaculatorio (Simonelli, Rossi, 1997).
– Eiaculazione anestetica: in questa tipologia di disturbo risulta compromessa l’eiaculazione, ma non il processo di emissione dello sperma.
All’origine dell’eiaculazione anestetica vengono spesso ricondotti fattori psicologici, identificati, ad esempio, dalla Kaplan (1974) in una tendenza al controllo eiaculatorio, fenomeni di auto osservazione inibitoria, vissuti anaffettivi e meccanismi di repressione e rimozione dell’aggressività. Tra le cause organiche vengono riportate da alcuni autori condizioni di diabete, malattie prostatiche, gonorrea o alcuni tipi di fratture e lesioni al midollo spinale (Simonelli, Rossi, 1997).
– Eiaculazione retrograda: la manifestazione di questo disturbo, di origine organica, consiste nella mancata espulsione del liquido seminale dal pene, che si riversa nella vescica invece che nell’uretra.
Tra le possibili cause dell’eiaculazione retrograda, sono segnalate le malattie come il diabete mellito, gli esiti di interventi chirurgici di prostatetcomia o all’aorta addominale e l’uso di farmaci antipsicotici quali la tioridazina (Carani et al., 1985).
– Orgasmo aneiaculatorio: in questo caso si rileva una totale assenza della fase di emissione accompagnata dalla presenza della fase di espulsione, che però si realizza a vuoto, traducendosi nella mancanza degli spermatozoi nelle urine.
Il disturbo si sviluppa in conseguenza di fattori organici, tra cui malattie endocrine come l’ipogonadismo, l’uso di alcuni farmaci come i bloccanti alfa-adrenergici e interventi chirurgici che possono compromettere le vie simpatico addominali o causare il blocco dei dotti deferenti a livello del follicolo prostatico (Carani et al., 1985).
Anche Colombo (2001) distingue cinque possibili manifestazioni di disturbi dell’orgasmo maschile:
– Ejaculatio precox: l’eiaculazione interviene in modo prematuro, prima o durante la penetrazione o ai primi movimenti intravaginali (disturbo equivalente all’eiaculazione precoce descritta dal DSM-IV-TR).
– Ejaculatio ritardata: l’orgasmo sopraggiunge con marcato ritardo a causa di difficoltà all’ejaculazione. È un disturbo piuttosto raro, che si manifesta soprattutto in età senile, e può dipendere da cause sia organiche sia psicologiche.
– Ejaculatio sejuncta: l’ejaculazione interviene molto tempo dopo il rapporto sessuale, durante il sonno, determinando polluzione notturna.
– Orgasmo anejaculatorio: l’orgasmo si verifica senza che avvenga l’eiaculazione. E’ tendenzialmente imputabile a cause organiche, come diabete, uso di tioridazina, esiti di natura chirurgica, endocrinopatie.
– Assenza di ejaculazione: generalmente derivante da fattori psicologici, soprattutto se si verifica in modo sporadico.
Nella definizione del DSM-IV-TR, l’eiaculazione precoce è caratterizzata da persistente o ricorrente insorgenza di orgasmo ed eiaculazione in seguito alla minima stimolazione sessuale; la condizione si può verificare prima, durante o immediatamente dopo la penetrazione ed insorge comunque prima che il soggetto lo desideri (APA, 2001).
Nella fase diagnostica, il clinico deve considerare fattori quali l’età, la novità del partner o della situazione sessuale, la recente frequenza dell’attività sessuale (APA, 2001).
E’ presente nel 30% della popolazione maschile ed è generalmente attribuibile a cause psicologiche, come eccessivo eccitamento, senso di colpa, inibizione relativa alla sessualità, conflittualità con il partner o con la figura femminile in generale (Colombo, 2001).
Il DSM-IV-TR specifica che questo tipo di disturbo si osserva più frequentemente tra uomini giovani e si manifesta fin dai loro primi rapporti sessuali (APA, 2001). Accade anche, tuttavia, che il disturbo insorga successivamente ad un periodo di funzionamento sessuale adeguato; in questi casi si rilevano spesso condizioni di diminuita frequenza di attività sessuale, intensa ansia di prestazione dovuta al rapporto con un nuovo partner, o da difficoltà di erezione che causano una perdita di controllo sull’eiaculazione (APA, 2001).[/toggle]

Disturbi da dolore sessuale
Comprendono la dispareunia e il vaginismo.

[toggle title=”Dispareunia” value=”close”] La caratteristica fondamentale della dispaurenia è un dolore genitale associato al rapporto sessuale (APA, 2001).
Può manifestarsi sia negli uomini che nelle donne. Tipicamente insorge durante il coito, ma può anche presentarsi nei momenti precedenti o in quelli successivi al rapporto sessuale (APA, 2001).
La sensazione di dolore riportata dal soggetto può manifestarsi con intensità variabile (APA, 2001).
Il DSM-IV-TR, premettendo la scarsità di dati circa il decorso della dispareunia, attribuisce a questo disturbo un decorso che si caratterizza tendenzialmente come cronico (APA, 2001).
Può essere causato da fattori organici, psicologici, come sentimenti di colpa e vergogna, o sociali, come pregiudizi di tipo religioso (Colombo, 2001)[/toggle] [toggle title=”Vaginismo” value=”close”] Il vaginismo è caratterizzato da una ricorrente o persistente contrazione involontaria dei muscoli perineali che circondano il terzo esterno della vagina. La contrazione si manifesta durante i tentativi di qualunque tipo di penetrazione vaginale (mediante pene, dita, tamponi, speculum, ecc.) e può presentarsi in un forma lieve e indurre un certo livello di tensione o disagio, o in forme più gravi, che impediscono la penetrazione (APA, 2001). Talvolta è sufficiente il solo pensiero di penetrazione vaginale a provocare lo spasmo muscolare (APA, 2001).
Nei casi di vaginismo permanente, tendenzialmente il disturbo esordisce precocemente, in occasione dei primi tentativi di penetrazione vaginale. Una volta che il disturbo si sviluppa, in genere evolve con un decorso cronico (APA, 2001).
Nel caso di vaginismo acquisito, il disturbo può verificarsi all’improvviso, dopo un periodo di adeguato funzionamento sessuale, in conseguenza di un trauma sessuale o di una condizione medica generale (APA, 2001).[/toggle]